martedì 28 febbraio 2012

Pianificazione familiare al Lucrétia Paim




Incubatrici a dozzine, letti puliti, larghi corridoi, ampie vetrate, macchinari all'avanguardia, medici con camici immacolati e tante, tante donne, belle e col pancione. 
E'  la Martenidad Lucrétia Paim di Luanda. Un centro d'eccellenza in zona, per tutto ciò che riguarda ginecologia, parti, cure neonatali, emergenza ostetrica, pianificazione familiare. 
E qui è il tasto dolente. Da queste parti non si fa pianificazione familiare e il tasso di nascite in età adolescenziale è altissimo, accompagnato da un alto tasso di mortalità infantile e a volte anche della partoriente. 
Così in questo ospedale, in partnership con l'Unfpa, il Programma delle Nazioni Unite per la Popolazione, si cerca di far capire ai pazienti che la pianificazione familiare non solo salva la vita, ma la migliora enormemente.
L'Ospedale, quotidianamente preso d'assalto da decine di donne in cerca di un ricovero o di notizie su un paziente internato, malgrado offra i suoi servizi dietro pagamento di una tassa, è stato meta lo scorso 27 febbraio di una lunga e accurata visita da parte della moglie di Ban Ki-Moon, il Segretario Generale delle Nazioni Unite. 
La signora Ban Soon, al seguito del marito in visita ufficiale in Angola, ha incontrato il Ministro della Salute, i direttori dell'Ospedale e tante pazienti ricoverate con le quali ha scambiato anche qualche battuta. A fare da sfondo alla visita una bella rappresentazione artistica della maternità realizzata dai giovani del Caj, il Centro de Apojo aos jovens.
Alcuni dati:


- Life expectancy at Birth (years): 38
- Infant Mortality Rate (per 1,000 live births): 184
- Children Under-5 Mortality Rate (per 1,000 live births): 260
- Life Risk of Maternal Mortality (1 in number stated): 7
- Population with access to an improved water source (%): 53

Sources: CIA World Factbook, World Bank, UNDF

venerdì 24 febbraio 2012

Una giornata tipo a Luanda


Inizia con gli occhi del mio motorista, Luca, che hanno dentro tutta l'Africa. Li vedo dallo specchietto retrovisore e sembrano quelli di una gazzella sempre all'erta, pronta a scattare se il leone è in agguato. 
Poi passa attraverso una serie di volti tristi. Li scruto, sottecchi, mentre faccio altre cose. Raccontano la fame, la rabbia, la precarietà e la paura. Cose che accomunano diverse regioni africane. Ma questi volti qui, quelli angolani, hanno un di più, raccontano la guerra. I gesti lenti, lo sguardo basso o lontano, l'incapacità di rispondere con prontezza a una mano tesa, a un piccolo sorriso, a una battuta, sono la risposta a un male che viene da lontano, finito da poco, morto nel tempo, ma vivo dentro di loro.
La giornata tipo a Luanda trascorre poi lungo la "strada della vergogna". E' così che ho ribattezzato il tratto di Samba che costeggia il mare. Dall'altro lato si leva alta una collina fatta di spazzatura, al culmine della quale si erge una baraccopoli da cui sfuggono come piccole lepri impazzite decine di bambini che, scalzi, si rincorrono su montagne di immondizia putrefatta.
Pochi metri più in là la collina è ingabbiata da reti di contenimento oltre le quali si intravede un lussureggiante giardino e una enorme villa. Quel prato è vietato ai bambini mentre è pieno di garzette, un uccello bianco dal becco lungo, tipico di queste parti. 



Ma ciò che nella giornata tipo a Luanda fa sembrare la cosa ancora più assurda è che lungo tutto il tratto di strada che costeggia lo scempio, sono stati installati decine di cartelloni per pubblicizzare una campagna educativa contro il lixoCome fare la differenziata, dove gettarla, come chiudere il sacchetto, e così via. 
A volte la giornata tipo prende svolte radiose, altre meno. Oggi è finita in un negozietto di un metro per tre, proprietari due cinesi, dove si stampano "foto rapide". Una ex-parete bianca, un banchetto di plastica rosa e un appendiabiti con tre giacche da uomo. Cè un gessato, un tweed e una tinta unita. Sformate e sporche mi chiedevo di chi fossero. Poi un uomo è entrato e prima di sedersi per la fototessera le ha provate tutte e tre per scegliere alla fine il gessato e avere le sue foto con l'aspetto di un signore!

lunedì 13 febbraio 2012

Josefina Bakhita: a scuola di futuro.


Un enorme albero chiamato imbondeiro, di almeno 500 anni, è all'ingresso del barrio che ospita una delle più belle scuole di Luanda. Non si tratta di un istituto privato di studi superiori o di un collegio internazionale. No, si tratta di una scuola di quartiere tenuta linda e limpa (bella e pulita) da un gruppo di suore canossiane che non pensano tanto a fare lezioni di religione, quanto a dare ai 1500 ragazzini che la frequentano un'istruzione, che da queste parti è l'unico passaporto per la felicità. 
Alcuni di loro non sono mai usciti dal quartiere/favelas in cui abitano e quando ci vedono arrivare con le nostre scatole piene di matite e quaderni, perché qui la scuola è appena iniziata dopo la lunga pausa estiva, restano colpiti dai nostri capelli biondi, rossi, castani invece che neri, ma soprattutto lisci.
I bambini della "Escola Josefina Bakhita" hanno l'entusiasmo di chi sa di aver vinto un terno al lotto. Quando gli chiediamo se preferiscono la vacanza o la scuola è un grido all'unisono "la escola!!!!"
La vacanza per loro significa solo non avere un posto dove stare per tre lunghi mesi. Il periodo di chiusura scolastico è un momento drammatico di abbandono, i genitori non hanno tempo per badare ai 6,7,8 figli che di media ha ogni donna a questa latitudine, le case sono baracche con una sola stanza e a loro non resta che scorrazzare fra le discariche che costellano ogni loro quartiere.  
La Josephina Baquita è l'orgoglio di chi la frequenta. Sette suore, fra cui una italiana, Suor Mirandola, altre angolane, fra cui la direttrice Suor Maria de Lurdes, altre ancora di Sao Tomè, settanta insegnanti, molti di loro come gli stessi bambini sono profughi rientrati dal Congo dove si erano rifugiati durante i lunghi anni di guerra civile, una decina di inservienti, hanno fatto di questo luogo un'isola felice. 
Oggi quest'isola rischia di non farcela. I finanziamenti che annualmente arrivavano dall'Italia sono stati sospesi, forse anche questo effetto della crisi che investe il nostro paese. 
Da quet'anno le suore non possono più fornire ai 1500 bambini il panino e il succo giornaliero che gli davano fino alla chiusura estiva. Spesso quello era l'unico pasto nella giornata di molti alunni. 
Il fabbisogno impellente della scuola oggi è facile da calcolare. Mancano 500 dollari a settimana per assicurare ai bambini uno snack e i fogli su cui scrivere le formule che possono servire ad aprirgli un futuro. 


Per aiutare la Escola Josefina Bakhita contattate il blog. 

lunedì 6 febbraio 2012

Un giorno da ricordare


Non è un giorno come un altro il 4 febbraio per gli angolani. E'  piuttosto un giorno speciale, uno di quelli da ricordare negli anni. Uno di quei giorni che segna la storia e il destino di un popolo. 
La mattina del 4 febbraio del 1961 un manipolo di uomini armati solo di disperazione e coraggio, oltre che di qualche bastone, fece irruzione in due prigioni di Luanda per liberare i compagni, prigionieri politici, che vi erano detenuti. 
La risposta di quello che allora era il regime coloniale portoghese fu brutale. La temuta polizia fascista dell'epoca, la Pide (Polizia Politica del Nuovo Stato di Antonio Oliveira Salazar), assassinò, torturò, massacrò e imprigionò coloni in tutto il paese senza nessuna distinzione. 
La brutalità fu tale che quel giorno scattò la lotta per la liberazione dell'Angola dai portoghesi terminata 14 anni dopo con la proclamazione, l'11 Novembre del 1975, dell'Indipendenza Nazionale. 
Nell'Angola indipendente il 4 Febbraio è commemorato come il Dia do Inicio da Luta Armada e ogni anno si sceglie una città dove svolgere gli avvenimenti principali della commemorazione. Quest'anno a stare al centro dell'attenzione è stata Porto Amboim, provincia di Kuanza Sul. 
E' con orgoglio, da parte dei più vecchi e con una strana indifferenza, da parte dei più giovani, che quest'anno gli angolani hanno ricordato l'inizio della loro indipendenza. Non è mancato neanche, ma quello in fondo lo si trova nei loro occhi tutti i giorni, quel pizzico di soddisfazione con cui oggi guardano ai portoghesi che a migliaia lasciano il Portogallo in declino alla ricerca disperata di un posto al sole nell' Angola in crescita.